Donne e malattie cardiovascolari. In quelle con infezione da HIV il rischio è più alto del 50%

10 Apr 2017

Negli USA, una donna su due muore di infarto o di ictus e 1 su 25 di tumore della mammella. Eppure mentre è ben presente il rischio comportato dalle malattie oncologiche, del tutto sottostimato è quello derivante dalle malattie cardiovascolari. Che in alcuni gruppi, come nelle donne con infezione da HIV è particolarmente elevato. Un lavoro italiano fa il punto della situazione, auspicando nuovi studi e l’arrivo di linee guida ‘su misura’.

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte tra le donne, ma sono in molte a ignorarlo. E alcune condizioni, come l’infezione cronica da HIV e le terapie ad essa correlate, aumentano ulteriormente questo rischio (1,5 volte maggiore). Uno studio italiano, a firma di Massimo Volpe, ordinario di Cardiologia dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma e presidente della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC), di recente pubblicato su International Journal of Cardiology  fa una messa a punto su epidemiologia, fattori di rischio, strategie di prevenzione primaria e secondaria sia nelle donne HIV negative che in quelle HIV-positive. Con l’auspicio di arrivare a sviluppare un giorno misure di prevenzione, interventi clinici su misura e linee guida ad hoc per questo gruppo di pazienti, soprattutto alla luce dell’allungamento dell’aspettativa di vita nelle donne con infezione da HIV.

Il rischio cardiovascolare è maggiore nelle donne e nei soggetti HIV-positivi

Lo scorso anno le malattie cardiovascolari hanno causato più di 17 milioni di morti nel mondo, che equivale a circa 1 decesso su 3 morti per qualsiasi causa. In Europa, la proporzione di morte per cause cardiovascolari nelle donne è pari al 51%, contro il 42% negli uomini.
“Il rischio di eventi cardiovascolari – afferma il professor Volpe – è significativamente maggiore nelle donne anziane, sia per ovvie ragioni demografiche, sia come conseguenza della perdita della protezione ormonale nell’età fertile che viene a mancare con l’avvento della menopausa. In particolare, l’incidenza di infarto del miocardio aumenta di  6 volte nelle donne in menopausa e le donne affette da diabete di tipo 2 hanno un rischio significativamente più elevato (+27%) di andare incontro a stroke e sviluppare malattia coronarica (+44%) rispetto agli uomini diabetici”.

Il rischio cardiovascolare è stato a lungo sottostimato nei pazienti HIV-positivi, ma oggi, grazie anche al miglioramento dell’aspettativa di vita di questi pazienti, dovuta all’utilizzo dei farmaci antiretrovirali, si è potuta osservare la maggiore incidenza di malattie cardiovascolari in questa popolazione e in particolare nelle donne HIV-positive. “I soggetti HIV-positivi – prosegue il professor Volpe – hanno un rischio di infarto del miocardio doppio rispetto alla popolazione generale, dovuto in parte al maggior rischio di aterosclerosi subclinica, associata allo stato pro-infiammatorio che caratterizza questi pazienti”.

Il rischio cardiovascolare HIV-specifico
I tradizionali calcolatori di rischio cardiovascolare non includono però l’infezione da HIV tra le variabili per la stima del rischio. Pertanto, per superare questo limite sono stati validati due modelli di stima del rischio di infarto del miocardio in una numerosa coorte di pazienti HIV-positivi. Questi modelli comprendevano, oltre ai tradizionali fattori di rischio cardiovascolari, anche delle variabili HIV-specifiche, quali carica virale, conta dei CD4, terapia anti-retrovirale e utilizzo di inibitori delle proteasi.  Infatti, la maggiore incidenza di malattie cardiovascolari nei pazienti HIV-positivi è associata a specifici fattori, come l’immunodepressione che si associa all’infezione e al trattamento con farmaci antiretrovirali.

“Per quanto riguarda le donne HIV-positive – spiega il professor Volpe – il maggior rischio di eventi cardiovascolari rispetto agli uomini è legato alle differenze di sesso, quali il ridotto peso corporeo, il rallentato metabolismo dei farmaci e il controllo ormonale dei recettori intranucleari, che può spiegare la più elevata prevalenza della tossicità correlata ai farmaci antiretrovirali e la menopausa precoce che si osserva in queste pazienti.

Visto l’aumentato rischio di malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale, la prevenzione primaria in queste pazienti dovrebbe essere fortemente raccomandata. Recenti linee guida hanno definito la più opportuna strategia di prevenzione primaria nelle donne HIV-negative. Per quelle HIV-positive le linee guida della European AIDS Clinical Society (EACS) e quelle italiane  hanno inserito alcune raccomandazioni per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Non esistono tuttavia al momento delle raccomandazioni specifiche dedicate alle donne HIV positive.

Il calcolo del rischio cardiovascolare nelle donne HIV-positive
Sulla base delle linee guida EACS e delle raccomandazioni del Ministero della Salute italiano per la gestione delle donne HIV-positive è possibile intanto definire un algoritmo per lo screening del rischio cardiovascolare nelle donne HIV-positive.
“Le linee guida attuali – ricorda il professor Volpe – propongono una stima del rischio annuale nei pazienti HIV positivi, a partire dai 40 anni negli uomini e dai 50 anni nelle donne”.

Gli interventi di prevenzione primaria
Sul fronte della prevenzione, gli interventi proposti nelle donne HIV positive comprendono: l’astensione dal fumo di sigaretta, il controllo annuale della pressione arteriosa (target < 140/90 mmHg), la riduzione dei valori di glicemia (nei soggetti con diabete, con un target di glicata di 6,5-7%) e dei livelli di colesterolo mediante l’utilizzo di statine se il rischio a 10 anni è superiore al 10% o nei pazienti diabetici (con un target di LDL standard di 115 mg/dl e ottimale di 80 mg/dl). Per valutare in maniera più approfondita il ruolo delle statine nella riduzione del rischio cardiovascolare nei soggetti con infezione da HIV, nel 2015 è iniziato uno studio (REPRIEVE) finanziato dai National Institutes of Health americani.
Le linee guida suggeriscono inoltre di utilizzare l’aspirina a basse dosi nelle pazienti HIV-positive di età superiore a 50 anni e con un rischio cardiovascolare stimato a 10 anni superiore al 20%.

Infine, oltre agli interventi sullo stile di vita, è stato proposto di modificare la terapia antiretrovirale (HAART), qualora il rischio cardiovascolare a 10 anni nelle pazienti trattate risultasse superiore al 20%.”

Gli interventi di prevenzione secondaria
Molte sono le ricerche effettuate sulle differenze di genere nella fase acuta della cardiopatia ischemica, mentre molto poco è stato fatto nel contesto della prevenzione secondaria. E’ noto che dopo un infarto le donne hanno meno probabilità di raggiungere i target terapeutici per LDL, pressione e glicemia a digiuno, in genere per un sotto-utilizzo delle strategie preventive nelle donne. Un peccato e un’occasione persa perché gli studi clinici dimostrano che, se adeguatamente trattati, tanto gli uomini che le donne possono riuscire a ridurre altrettanto bene il loro rischio cardiovascolare.

La necessità di linee guida ‘dedicate’
Non esistono al momento linee guida cardiovascolari specifiche per i soggetti HIV-positivi di entrambi i sessi, ma alla luce dell’allungamento dell’aspettativa di vita anche dei soggetti colpiti da infarto o sottoposti a rivascolarizzazione sembra ragionevole utilizzare nelle donne gli stessi interventi suggeriti nelle guida per la popolazione generale. Anche se è necessario andare a considerare alcune questioni specifiche.
Nei soggetti con infezione da HIV si assiste ad una maggior percentuale di recidive di eventi ischemici e di rivascolarizzazioni; è stato inoltre suggerito che l’uso di stent medicati sia preferibile in questa popolazione. Infine nei soggetti HIV-positivi la morte improvvisa si verifica con una frequenza 4,5 volte superiore al previsto.
In generale i soggetti con infezione da HIV vengono trattati meno spesso con la doppia antiaggregazione e con statine ad alte dosi (anche per il rischio di interazioni farmacologiche) e potrebbero avere una minor risposta all’aspirina. Insomma, c’è ancora molto da scoprire e tanto fare nel contesto della prevenzione secondaria nella popolazione HIV-positiva.

“Gli studi futuri – concludono gli autori – dovrebbero focalizzarsi sull’individuazione dei fattori di rischio che concorrono all’aumentato rischio di malattie cardiovascolari nelle donne HIV-positive e sullo sviluppo di strategie ad hoc per prevenire queste patologie in questa popolazione ad alto rischio. Nel frattempo, sarebbe bene implementare l’approccio clinico attuale, migliorare cioè la diagnosi e l’applicazione degli interventi di prevenzione primaria e secondaria nelle donne.

Maria Rita Montebelli

 

Da QS

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