Il diabete è una patologia cronica caratterizzata dall’aumento dei livelli di zucchero nel sangue: si presenta quando l’organismo non è più in grado di utilizzare il glucosio e lo accumula nel sangue (aumento della glicemia). Secondo i dati ISTAT 2013, in Italia il diabete interessa il 5,4% della popolazione: significa che più di 3 milioni di italiani ne soffrono. Si stima che nel 2030 si arriverà a 5 milioni di malati, tant’è che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità parla di vera e propria “epidemia” del diabete, in conseguenza non della durata della vita media, ma anche delle abitudini di vita come la scorretta alimentazione e la mancanza di esercizio fisico. La patologia non fa distinzione tra i due sessi, ma nella donna presenta specifiche problematiche in relazione a due momenti particolari della vita femminile quali la gravidanza e la menopausa. Il diabete non rappresenta una controindicazione alla gravidanza, purché adeguatamente compensato. La gravidanza stessa può determinare l’insorgere della patologia e in tal caso si parla di diabete gestazionale. Entrambe le situazioni richiedono un’adeguata assistenza specialistica integrata tra ginecologo ed endocrinologo/diabetologo poiché il diabete scompensato può determinare conseguenze avverse sul feto, da malformazioni congenite a un elevato peso alla nascita, fino a un alto rischio di mortalità perinatale. La menopausa, che spesso si accompagna a un aumento del peso corporeo, può associarsi ad alterazioni del profilo glucidico (sindrome metabolica) fino alla comparsa di forme conclamate di diabete.

Approfondimenti

L’insulina è il principale ormone che regola l’ingresso del glucosio dal sangue nelle cellule ed è prodotta dalle cellule beta del pancreas quando si innalzano i livelli di glucosio nel sangue (per esempio, dopo un pasto). Se non viene prodotta sufficiente insulina o se le cellule non rispondono adeguatamente all’insulina o se l’insulina stessa è “difettosa”, il glucosio non può essere immagazzinato nelle cellule e rimane libero nel sangue senza poter essere utilizzato, innalzando così i valori di glicemia e causando gravi alterazioni a livello di micro e macrocircolo arterioso con conseguenti danni d’organo. L’iperglicemia rappresenta un noto fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Esistono due tipi di diabete. Il diabete tipo 1 è caratterizzato dalla distruzione delle beta cellule del pancreas (su base autoimmune o idiopatica, cioè non nota) e conduce ad un deficit insulinico assoluto. È la forma più rara (10%) e che esordisce nei primi anni di vita. Il diabete tipo 2 è invece determinato da una graduale lenta riduzione della secrezione di insulina, alla quale si associa un’alterata sensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina (definita come insulino-resistenza). Questa forma è la più comune (90%) e si manifesta dopo i 40 anni. Esistono poi altre forme meno frequenti di diabete, dovute a cause note, come difetti genetici della funzione delle beta cellule o dell’azione insulinica, malattie del pancreas (pancreatite, fibrosi cistica, tumori pancreatici …) o farmaci (farmaci usati nel trattamento dell’AIDS o dopo trapianto di organo, primo tra tutti il cortisone). In assenza di sintomi tipici della malattia, la diagnosi di diabete è definita dalla presenza di elevati valori di glicemia (glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl, oppure glicemia casuale ≥ 200 mg/dl, indipendentemente dall’assunzione di cibo, oppure glicemia ≥ 200 mg/dl due ore dopo carico orale di 75 mg di glucosio, test che viene eseguito in laboratorio). Per fare la diagnosi di diabete e per lo screening è quindi necessario sottoporsi a un prelievo di sangue venoso su cui dosare i valori di glicemia. Il diabete è una malattia cronica e allo stato attuale non esistono terapie efficaci che possano condurre a una guarigione definitiva. L’aspetto positivo del diabete è la possibilità di tenerlo sotto controllo. La dieta e l’esercizio fisico sono aspetti molto importanti per la cura del diabete. L’esercizio fisico non solo riduce l’intolleranza al glucosio, migliorando la sensibilità all’insulina, ma diminuisce i fattori di rischio cardiaco e riduce e mantiene il peso corporeo. Inoltre può avere anche favorevoli effetti psicologici e fisiologici, facilitando un cambiamento dello stile di vita. Per quanto riguarda la terapia farmacologica, nel diabete tipo 2 trovano indicazione i farmaci ipoglicemizzanti, che riducono cioè la glicemia e facilitano l’ingresso del glucosio nelle cellule. Nel diabete tipo 1, nel quale esiste carenza assoluta di insulina e nel diabete tipo 2 resistente alla terapia dietetica ed agli antidiabetici orali, l’insulina deve essere somministrata come terapia sostitutiva. Il trapianto di pancreas o d’isole pancreatiche è riservato a pazienti selezionati. Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla carenza pressoché totale di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a coma chetoacidosico, dovuto ad accumulo di prodotti del metabolismo alterato, i chetoni, che causano perdita di coscienza, disidratazione e gravi alterazioni ematiche.  Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici.

Intervista a Giacinto Miggiano, Direttore Centro Nutrizione Umana della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dietetica del Policlinico ‘A.Gemelli’ di Roma. Si può parlare di una dieta mirata per chi ha problemi di diabete? Direi proprio di sì. Il diabete, infatti, è una condizione patologica in cui l’organismo non ha la possibilità di utilizzare gli zuccheri (glucosio) dell’alimentazione, o perché non produce a sufficienza l’ormone insulina (questo è il caso del Diabete di tipo I, detto anche insulino-dipendente) oppure – più frequentemente –  perché l’insulina non riesce a funzionare adeguatamente (Diabete di tipo II) per l’instaurarsi di una certa resistenza all’insulina che costringe il pancreas a lavorare sempre di più con il pericolo di esaurire prima o poi la sua capacità funzionale. La regola d’oro, che vale anche per i soggetti sani e soprattutto per i pazienti diabetici, è quella perciò di evitare i carichi di zucchero sia attraverso una migliore distribuzione dei pasti nella giornata sia con il ricorso ai cibi che rilasciano più lentamente il glucosio durante la digestione, i cosiddetti alimenti a indice glicemico basso. Entrambe queste indicazioni sono volte a controllare l’innalzamento della glicemia dopo il pasto e quindi a indurre una minore risposta insulinica, evitando così l’instaurarsi della insulino-resistenza, condizione metabolica che è causa di molte altre malattie associate al diabete e a combattere i picchi elevati di glucosio nel sangue, cause di complicanze a breve e lungo termine della malattia diabetica. A parità di gusto per il palato, è sempre bene privilegiare quei cibi che permettono di controllare o di tenere costante la concentrazione di zuccheri nel sangue. Facciamo un esempio su alcuni alimenti che non mancano mai dalla nostra tavola: il pane e la pasta. Il pane di semola di grano duro o il pugliese di Altamura è preferibile a quelli prodotti con farina di grano tenero, così com’è meglio un buon piatto di spaghetti o di pasta corta di grano duro rispetto alle tagliatelle all’uovo; l’optimum sarebbe se la pasta fosse con farina integrale. Perché è così importante tenere sotto controllo la glicemia? Mantenere sotto controllo il valore dello zucchero del sangue (glicemia) è un vantaggio sia per la salute sia per la linea. Ogni volta che mangiamo alimenti contenenti zuccheri (farinacei, tuberi, legumi, frutta) modifichiamo la nostra glicemia e, se questa s’impenna, l’organismo deve provvedere a riportarla nella norma secernendo un ormone (insulina). È dunque sempre opportuno fare attenzione ai cibi che ingeriamo per evitare sbalzi troppo bruschi (in alto e in basso) della glicemia, un’altalena che produce uno stress metabolico e ormonale dell’intero organismo con ripercussioni sul peso corporeo e sulla salute degli organi, il cuore e i vasi sanguigni (ma non solo!). Quali sono i cibi a più basso indice glicemico? Ogni cibo ha una sua peculiare capacità di modificare il valore della glicemia. Quelli a più basso indice glicemico, oltre al pane e alla pasta integrali, sono i legumi; anche nella frutta fresca esistono delle differenze. Questo discorso non riguarda alimenti come carne, pesce e uova, anche se nella dieta del diabetico, in presenza di complicanze come l’alterazione dei lipidi nel sangue, o semplicemente per un fatto di prevenzione, è bene scegliere con cura anche i cibi di quest’ultima categoria. Ci sono fattori che possono influire sull’indice glicemico? Certamente. L’indice glicemico non è immutabile e può subire delle variazioni per il metodo di cottura dei cibi; ad esempio, la bollitura parziale della pasta (spaghetti ‘al dente’) tende ad arginare il potere degli alimenti di innalzare la glicemia. Così come la presenza nel pasto di cibi con fibra solubile (presente nell’avena, nei legumi, in alcuni tipi di frutta o nelle verdure come i carciofi) che è in grado di assorbire elevate quote di acqua, formando nell’intestino una sorta di gel. In ultimo, anche il contenuto di grassi (olio) nel pasto, rallentando lo svuotamento dello stomaco, sembra ritardare l’innalzamento della glicemia. Dunque, chi ha problemi di diabete dovrebbe privilegiare cibi con alto contenuto di fibre? Sì, perché la fibra ritarda l’assorbimento dei carboidrati, così da contribuire al controllo dei livelli di glucosio nel sangue. Il consumo giornaliero di 5 porzioni di frutta e verdura, ossia 100 grammi di verdura o ortaggi a crudo o 50 grammi di insalata per esempio, oppure 150 grammi di frutta, e di 4 porzioni alla settimana di legumi, può risultare utile per fornire il minimo fabbisogno di fibre. Inoltre i grassi, dal burro agli insaccati, vanno inseriti con moderazione nella dieta, mentre c’è un po’ più di permissività nell’uso dell’olio di oliva extravergine, che è ricco di ‘grassi buoni’. La raccomandazione è che la quantità totale di alimenti assunti venga ripartita in tre pasti principali – la colazione, il pranzo e la cena -, intercalati da due o tre piccoli spuntini che forniscono un apporto costante di glucidi ed evitano così le punte di glicemia che si verificano dopo il pasto o le ipoglicemie tra un pasto e l’altro. I diabetici devono rinunciare a mangiare zuccheri e dolci? No, seppure con moderazione. Un pezzetto di dessert a fine pasto è consentito, anche perché con lo stomaco pieno gli zuccheri contenuti nei dolci vengono assorbiti più lentamente, non influendo sulla glicemia con il medesimo impatto di quando vengono consumati a digiuno. Naturalmente una fetta di dolce, una o due volte a settimana, dovrà essere compensata con una riduzione dell’apporto di carboidrati. Anche l’utilizzo del saccarosio è ammesso, ma il suo apporto totale non potrà superare i 30 grammi al giorno, che corrispondono all’incirca a due cucchiaini da caffè. Queste indicazioni sono valide non soltanto per i diabetici ma anche per coloro che desiderano perdere peso. Qualche altro consiglio? Fare attività fisica: il movimento induce un lavoro muscolare che concorre ad abbassare la glicemia e contribuendo a bruciare i grassi (soprattutto il grasso viscerale) favorisce la correzione della ‘insulino-resistenza’, eliminando una causa del progressivo esaurimento del pancreas. Molti altri vantaggi sono associati a una regolare e moderata attività fisica nel diabetico (come nel soggetto normale). Una camminata di 30-60 minuti al giorno, possibilmente a passo svelto, aiuta a smaltire quella piccola trasgressione culinaria che ci siamo concessi! Quali sono oggi le terapie farmacologiche per la cura del diabete? Se la dieta e l’esercizio fisico non sono sufficienti a tenere sotto controllo la glicemia, si può ricorrere ai farmaci e quindi alla supervisione del medico diabetologo. L’insulina nelle varie preparazioni per via sottocutanea resta comunque il trattamento necessario per la cura del diabete sia di tipo 1 (quello causato dalla distruzione delle cellule beta nel pancreas) sia di tipo 2 nel quale la produzione di insulina è molto ridotta (oppure in condizioni particolari, come in gravidanza). Per il diabete di tipo 2 (con‘insulinoresistenza’) il primo provvedimento da intraprendere è quello di aumentare la sensibilità all’insulina normalmente prodotta attraverso una dieta (povera di calorie) che riduca l’accumulo di grasso dell’organismo, porti ad un decremento del carico totale e relativo di zuccheri (nei pasti della giornata) e favorisca il lavoro dei muscoli (con il movimento). Se queste indicazioni non dovessero essere sufficienti, si ricorre innanzitutto a farmaci “insulinosensibilizzanti” (come biguanidi e glitazoni) che migliorano la ‘sensibilità’ di cellule (muscolari ed adipocitarie) divenute resistenti all’azione dell’ormone, oltre che avere altre funzioni utili nel metabolismo del glucosio (come ad esempio, la riduzione della produzione di glucosio nell’interno degli epatociti). Ci sono poi gli “inibitori dell’alfa-glucosidasi intestinale” che agiscono rendendo più lento l’assorbimento dei carboidrati ingeriti con l’alimentazione, arginando quindi i picchi di glicemia che si verificano dopo i pasti. La terapia classica vede inoltre l’intervento di “farmaci secretagoghi” (sulfoniluree e glinidi) che stimolano la produzione d’insulina da parte del pancreas, legandosi a specifici recettori presenti sulle cellule beta. I farmaci più recenti sono invece gli “incretino-mimetici”, sostanze che mimano l’azione di ormoni elaborati fisiologicamente da alcune cellule dell’intestino in risposta al pasto (Incretine) e promuoventi il rilascio di insulina, e gli “inibitori del dipetptidil-peptidasi –IV (DDP-IV)”, che sono farmaci che svolgono la doppia funzione di bloccare un enzima specifico e di potenziare l’attività delle incretine. Sono ovviamente farmaci potenti, costosi e la cui valutazione sul rapporto costo/beneficio non è ancora conclusa.

Il diabete e le alterazioni del metabolismo glucidico che accompagnano la gravidanza possono essere preesistenti alla gravidanza stessa (diabete tipo 1 o 2, ridotta tolleranza glucidica) o comparire per la prima volta in gravidanza (diabete gestazionale, ridotta tolleranza glucidica in gravidanza). Entrambe le condizioni rappresentano un noto fattore di rischio per complicanze materno-fetali e ostetriche, per questo sono fondamentali un’attenta programmazione della gravidanza nel caso di diabete pregravidico e una precoce identificazione nel caso del diabete gestazionale. Il diabete gestazionale (DG) in genere regredisce dopo il parto, anche se costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di diabete mellito tipo 2 negli anni successivi. È una delle complicanze più comuni della gravidanza (in particolare > 35 anni, nelle donne affette da obesità, in caso di anamnesi familiare positiva per diabete o pregresso DG), dovuta al fatto che, durante la gestazione, la placenta secerne ormoni che contrastano l’effetto dell’insulina, comportando un aumento della glicemia nel sangue. Nella maggior parte dei casi, l’organismo reagisce aumentando la produzione d’insulina con conseguente controllo del profilo glicemico, ma quando la risposta del pancreas non è sufficiente, si manifesta il DG. Il DG non dà segni clinici evidenti: per questo durante la gravidanza la glicemia viene testata attraverso un esame di screening effettuato in genere tra la 24a e 28a settimana (test da carico di glucosio) e costantemente monitorata. È, infatti, fondamentale riconoscerlo tempestivamente in modo da poterlo trattare in maniera adeguata e prevenire così le possibili complicanze materno-fetali. Nella maggior parte dei casi la patologia può essere efficacemente controllata attraverso un adeguato programma dietetico e di attività fisica; nel caso in cui tali misure non risultassero sufficienti, è necessario intraprendere la terapia farmacologica.

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