Area cardiologia

Le malattie cardiovascolari, in particolare quelle su base aterosclerotica, rappresentavano fino ad alcuni decenni fa patologie più tipicamente riferibili al sesso maschile. Nel mondo occidentale però, i mutamenti sociali, l’emancipazione femminile e il cambiamento degli stili di vita hanno fatto sì che ai giorni nostri l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia coronarica, le arteriopatie periferiche e lo scompenso cardiaco costituiscano ormai anche per le donne un pesante tributo alla modernizzazione, al benessere, all’acquisizione di un ruolo di primo piano in ambito lavorativo, politico e sociale.

Approfondimenti

La cardiopatia ischemica è la principale causa di morbilità e di mortalità nelle donne. Si manifesta generalmente in età avanzata per effetto della “caduta” dello scudo protettivo estrogenico che accompagna la menopausa, ma anche le giovani donne sono a rischio (in particolare se fumatrici e contestualmente utilizzatrici di contraccettivi orali). La cardiopatia ischemica è spesso sottovalutata dalla donna e dagli stessi medici. Da un lato è stata per lungo tempo considerata di retaggio maschile, dall’altro la malattia si manifesta più frequentemente nella donna con manifestazioni atipiche che ne rendono più difficile la corretta interpretazione clinica, comportando così un intervento diagnostico-terapeutico meno aggressivo e tempestivo. La prevenzione gioca un ruolo cruciale. In tal senso valgono poche ma fondamentali regole: alimentazione sana e variegata, ricca di frutta e verdura, riduzione del consumo di sale a tavola, astensione da fumo e alcol, stile di vita attivo e dinamico, monitoraggio periodico di peso corporeo, pressione arteriosa, glicemia, colesterolemia e trigliceridemia. Studi recenti hanno dimostrato come i principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari in generale (fumo, diabete, stress e sovrappeso) abbiano un impatto maggiore nella donna rispetto all’uomo.

Si tratta di una sindrome cardiaca acuta, identificata di recente, che si presenta quasi esclusivamente nella popolazione femminile (90%), in età post-menopausale, con il medesimo quadro clinico-strumentale dell’infarto miocardico acuto: comparsa di dolori toracici simil-anginosi, alterazioni elettrocardiografiche specifiche, incremento modesto degli enzimi cardiaci e disfunzione sistolica del ventricolo sinistro. Ciò che distingue la sindrome di Takotsubo dall’infarto miocardico è la sua reversibilità (nell’arco di giorni/mesi) con recupero della funzione cardiaca. Non infrequente, tuttavia, è l’insorgenza di complicanze quali insufficienza cardiaca e artimie ventricolari; raramente sono stati anche descritti casi di rottura della parete ventricolare sinistra.
La sindrome, inizialmente descritta nella popolazione Giapponese, è stata poi segnalata con sempre maggior frequenza anche negli Stati Uniti e in Europa. Tipico di questa sindrome è l’aspetto angiografico del ventricolo sinistro, cui deve il proprio nome: ricorda la forma ad anfora di una trappola per polpi utilizzata dai pescatori giapponesi e chiamata, appunto, Takotsubo.

Nella gravidanza fisiologica intervengono significative modificazioni emodinamiche (aumento del volume ematico, della gittata sistolica e della frequenza cardiaca …) che sono necessarie per garantire all’utero e al feto un adeguato apporto ematico. Ulteriori variazioni dei parametri emodinamici si verificano durante il travaglio e il parto per effetto delle contrazioni uterine, dello stato emotivo, del dolore e di eventuale analgesia. Queste modificazioni sono ben tollerate da un cuore sano mentre possono comportare un peggioramento delle condizioni cliniche in caso di cardiopatia nota o scompensare un “equilibrio apparente”, slatentizzando una patologia cardiaca misconosciuta.
Fondamentale è il counseling preconcezionale, una valutazione specialistica approfondita della cardiopatia (tipologia e gravità, condizioni generali, terapia in corso, anamnesi familiare e personale) in relazione ai possibili rischi materni e fetali per minimizzare mortalità e morbilità.  Dovrebbe anche essere effettuata una consulenza genetica per inquadrare e valutare il rischio di ricorrenza della cardiopatia nel neonato.
Durante la gravidanza è necessario che venga attuata una stretta sorveglianza attraverso il coinvolgimento integrato e sinergico del ginecologico e del cardiologo.

Intervista a Luigi Martinelli, Direttore della Struttura di Cardiochirurgia dell’Ospedale Niguarda di Milano.

Quando si può parlare di scompenso cardiaco?
Lo scompenso cardiaco è una condizione che si ha quando il cuore, e in particolare il ventricolo sinistro, perde la sua normale capacità di pompare sangue per soddisfare alle esigenze e alle funzioni vitali dell’organismo. Un semplice danno o un sovraffaticamento del miocardio sono condizioni che predispongono allo scompenso e che inducono il cuore a lavorare con minore efficienza. In presenza di malattia inizialmente la quantità di sangue pompata dall’organo al resto dell’organismo risulta ridotta, mentre quella che torna dall’organismo al cuore incontra una resistenza superiore al normale.

Qual è oggi la percentuale di persone affette da scompenso cardiaco?
Lo scompenso cardiaco colpisce all’incirca lo 0,1% di persone con meno di 55 anni e l’incidenza raddoppia per ogni decade in più di vita fino ad arrivare al 2-3% sopra gli 85 anni. Lo scompenso è una delle malattie cardiache più comuni ed è più diffuso della maggior parte delle neoplasie, compresi il cancro mammario, testicolare, cervicale e intestinale. Questo spiega il numero dei ricoveri per scompenso che in Italia arriva a superare quello degli infarti.

Quali sono le cause dello scompenso cardiaco?
All’origine dello scompenso possono esserci diverse cause. La più comune è l’infarto che è responsabile del 52% di tutti i nuovi casi di malattia. È per questo motivo che tutti i fattori di rischio cardiovascolare, come colesterolo elevato, pressione alta, diabete, obesità e fumo sono pericolosi, oltre che per l’infarto, anche per lo scompenso. Altre possibili cause sono la disfunzione delle valvole cardiache, le aritmie e le infezioni cardiache. Dunque è possibile pensare che lo scompenso cardiaco sia una conseguenza di altre patologie che danneggiano in vario modo il sistema cardiovascolare.

Quali sono le avvisaglie?
Quando cominciano i primi sintomi di scompenso, si può avvertire un senso di stanchezza/debolezza o difficoltà di respiro (mancanza di fiato/respiro corto) specie dopo uno sforzo fisico o quando si è distesi. Si possono accusare anche accessi di tosse, mancanza di fiato durante la notte ed episodi di vertigini associati a senso di confusione mentale. Nelle fasi più avanzate della malattia i sintomi peggiorano per frequenza e intensità fino ad avvertire difficoltà di respirazione anche dopo semplici attività, come vestirsi o muoversi in casa. Spesso questi sintomi sono indice di congestione e di accumulo di liquidi nel polmone che, specie se avvengono in maniera eccessiva e rapida, possono portare a edema polmonare acuto, una condizione pericolosa per la vita che richiede un trattamento in emergenza. Altri segni di accumulo di liquidi nel corpo sono la comparsa di gonfiore alle caviglie, piedi, gambe, l‘aumento rapido del peso corporeo, le palpitazioni e l’aumento del battito cardiaco, senso di vertigine, confusione o irritabilità per ridotto apporto di ossigeno al cervello, pressione bassa negli stadi avanzati di malattia, perdita dell’appetito e tensione addominale. Questi stati possono essere accompagnati anche dal bisogno di urinare più spesso, soprattutto di notte. Si tratta di sintomi che non vanno assolutamente trascurati, soprattutto se vi sono altre condizioni che predispongono a rischio cardiovascolare.

Come esordisce la malattia?
Nella maggior parte dei casi, la malattia si sviluppa lentamente e comincia a causare disturbi a distanza di alcuni anni dal suo esordio. Il cuore, infatti, inizialmente cerca di adattarsi alla nuova situazione aumentando lo spessore delle pareti (ipertrofia), il suo volume e velocizzando il battito (tachicardia). Queste modificazioni, che dovrebbero migliorare la capacità di pompare sangue nelle arterie, in realtà tendono a peggiorare ulteriormente la situazione poiché in queste condizioni il muscolo cardiaco si sfianca ancora di più.

Ci sono alcune malattie cardiache la cui evoluzione può portare allo scompenso?
Sì, lo scompenso cardiaco è spesso l’evoluzione finale di molte malattie cardiache quali le malattie coronariche, come l’infarto miocardico, l’ipertensione arteriosa, le cardiomiopatie ossia le malattie primitive del muscolo cardiaco caratterizzate da una esagerata dilatazione o ipertrofia del cuore, le malattie delle valvole cardiache e infine le cardiopatie congenite.

Occorre eseguire esami invasivi per una diagnosi di scompenso cardiaco?
Assolutamente no. La prima cosa è innanzitutto quella di riferire al medico di fiducia tutti i sintomi, anche quelli che appaiono insignificanti o lievi. Clinicamente una delle prime manifestazioni dello scompenso è il possibile accumulo di liquidi, pertanto una radiografia del torace sarà sufficiente per confermarne la presenza nei polmoni a cui si aggiungerà l’elettrocardiogramma per controllare la regolarità del battito cardiaco e per escludere eventuali patologie cardiache, l’ecocardiogramma utile a valutare le dimensioni del cuore, lo spessore delle pareti, la funzione delle valvole, la funzione di pompa. L’indagine si completa con l’analisi del sangue tra cui il dosaggio del BNP (Peptide Natriuretico Cardiaco) o dell’NT-proBNP che aumentano quando si è scompensati.

Quali sono i vari stadi della malattia?
Lo scompenso cardiaco generalmente può essere classificato in quattro stadi. Appartengono allo Stadio A i pazienti non ancora malati ma con patologie a rischio di evoluzione verso lo scompenso (ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattia coronarica, uso di farmaci cardiotossici, storia di malattia reumatica, storia familiare di cardiomiopatia). Allo Stadio B afferiscono i pazienti con cardiopatia, senza sintomi di scompenso, vale a dire un precedente infarto miocardico, malattia delle valvole cardiache, ipertrofia delle pareti del cuore. A quello successivo, lo Stadio C, appartengono invece i pazienti con cardiopatia che accusano sintomi di scompenso. L’ultimo, naturalmente il più serio e definito Stadio D, annovera pazienti con scompenso avanzato o refrattario alle normali terapie che richiedono interventi di centri specializzati o sono in attesa di trapianto.

E’ possibile in qualche modo controllare l’evoluzione dello scompenso cardiaco?
Per stabilizzare e rallentare il passaggio allo stadio successivo è importante, oltre a una diagnosi precoce e a una corretta impostazione della terapia, una stretta collaborazione tra il paziente e il medico curante.

Quali sono oggi i trattamenti e le cure per lo scompenso cardiaco?
Oggi le possibilità di cura per lo scompenso cardiaco sono molto maggiori e si muovono in tre direzioni: i farmaci, i dispositivi medici e il trapianto. Per ciò che concerne i farmaci, i diuretici e la digitale sono stati affiancati da terapie più innovative con gli ace-inibitori che aiutano a dilatare le arterie, abbassano la pressione del sangue e migliorano la funzionalità del muscolo cardiaco, i betabloccanti che riducono la frequenza cardiaca e migliorano la funzionalità del muscolo, gli antialdosteronici che aiutano a ridurre la fibrosi cardiaca, ossia la degenerazione del muscolo del cuore ed i sartani che sono simili agli ace-inibitori e vengono utilizzati nel caso in cui ci sia una intolleranza a questi ultimi.
Solo quando i farmaci non sono più sufficienti a curare lo scompenso si ricorre alla sincronizzazione cardiaca, che attraverso l’impianto di un apparecchio simile a un pacemaker, trasmette stimoli elettrici a entrambi i lati del cuore, sincronizzandoli e migliorando l’azione di pompa del muscolo cardiaco.
Infine c’è il trapianto, che deve essere considerato trattamento di elezione in caso di scompenso in fase avanzata. Tuttavia solo pochi pazienti possono beneficiarne a causa dell’esiguo numero di donatori e dei rischi elevati specie in età avanzata o in condizioni di salute precarie.

Quando invece si ricorre a supporti circolatori temporanei per normalizzare il flusso cardiaco?
In caso il paziente necessiti di trapianto e non si renda disponibile un cuore, si può sopperire con dei supporti circolatori temporanei. Si tratta di pompe meccaniche che sostituiscono la funzione di un cuore compromesso in maniera più o meno irreversibile, ristabilendo un flusso ematico vicino a quello normale. Un’altra soluzione è rappresentata dai VAD, sistemi di assistenza ventricolare, che permettono di mantenere costante la portata cardiaca anche quando il cuore non riesce più a svolgere autonomamente la funzione di pompa necessaria alla corretta perfusione di tutti gli organi e distretti del corpo. Con questi dispositivi il paziente può attendere il trapianto in condizioni circolatorie praticamente normali, svolgendo le sue consuete attività fisiche e lavorative.

I supporti circolari temporanei vengono utilizzati solo in pazienti in attesa di trapianto?
No, i miglioramenti tecnologici, la miniaturizzazione e la biocompatibilità dei materiali ne consentono sempre più frequentemente l’utilizzo come alternativa al trapianto e, in rari casi, come metodo per superare la fase “critica” dello scompenso in attesa di un recupero della funzione del cuore nativo.

Qualche piccolo consiglio che migliori la qualità della vita in presenza di scompenso cardiaco?
Le correzioni devono riguardare soprattutto lo stile di vita con l’astensione al fumo, la riduzione al massimo dell’assunzione di bevande alcoliche e di liquidi in generale; il controllo del peso seguendo un corretto regime dietetico che preveda un limitato apporto di sale, l’adozione di un programma di esercizio aerobico dapprima sotto controllo medico (programma riabilitativo) e successivamente autogestito e non ultimo lo stretto controllo dei valori della pressione arteriosa, del colesterolo e della glicemia, specie in caso di diabete.

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Società italiana di cardiologia (SIC)
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Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe)
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