8 marzo. “Caregiver sempre più depresse, ma dalle donne medico arriva la solidarietà di genere”. L’indagine del Centro Studi Fimmg

8 Mar 2018

Patologie croniche, depressione e mancanza di sostegno da parte della rete familiare sono le criticità che colpiscono maggiormente i caregiver, principalmente donne che prestano cure a malati. Dalle donne medico arriva una maggiore capacità a captare i disagi e le criticità di questo particolare ambito assistenziale delle donne rispetto ai colleghi uomini

L’assistenza domiciliare è gestita quasi sempre da una figura femminile. Caregiver donne che non sempre possono contare sul sostengo di una rete familiare e sono spesso affette da una patologia cronica e con una tendenza alla depressione. Criticità che vengono però percepite dai medici di famiglia in maniera differente. Le donne medico sono infatti mostrano una maggiore capacità a captare i disagi e le criticità di questo particolare ambito assistenziale delle donne rispetto ai colleghi uomini. Insomma le donne medico sembra abbiano una sensibilità maggiore, sostenuta probabilmente da una sorta di “solidarietà di genere”.

È quanto emerge da un sondaggio sui caregiver condotto dal Centro studi della Fimmg che ha coinvolto un campione di oltre 500 Mmg distribuiti su tutto il territorio italiano, di cui la metà è costituito da donne.

I risultati dell’indagine. Dai dati emerge che la “badante” sembrerebbe essere la figura più frequentemente coinvolta: viene inserita al primo posto dal 50% dei medici, in particolare al Centro Italia (figura segnalata al primo posto dal 58% del campione), di meno al Sud (42%) dove la famiglia sembrerebbe svolgere un ruolo prevalente.

Il caregiver può appoggiarsi “quasi sempre/spesso” sulla presenza di una rete familiare di sostegno per il 49% del campione, solo “a volte” per un 41%, “raramente/quasi mai” per il 10%; quest’ultimo dato è più marcato al Sud (15%).
Appare però su questo punto una discordanza tra quanto riferito dai due generi dei medici: le donne sembrano percepire una minore disponibilità della rete familiare, presente “Quasi sempre/Spesso” nel 41% delle risposte, rispetto ai colleghi uomini che, alla stessa domanda, rispondono affermativamente nel 58% dei casi.

Per il 50% del campione lo stesso caregiver presenta “Quasi sempre/Spesso” una patologia cronica, con una più elevata prevalenza di risposte affermative al Sud (61%). Si tratta di un aspetto percepito con maggiore evidenza dalle donne medico (patologia cronica del caregiver presente “Quasi sempre/Spesso” nel 55% dei casi, contro un 44% riferito dai medici uomini). Sembrerebbe, in particolare, che il caregiver presenti frequentemente sintomi riferibili a sindrome depressiva (“Quasi sempre/Spesso” riportato dal 57% del campione, con punte del 64% al Sud). Anche in questo caso sembrerebbe essere il Mmg donna a riscontrare più frequentemente tale criticità (il 64% di loro risponde che questo problema affligge il caregiver “Quasi sempre/Spesso”, contro un 51% dei medici maschi).

Quasi tutti i medici (91% del campione) identificano in una figura femminile la persona che si reca in genere dal medico a riferire i problemi di salute di altri suoi familiari. Per il 40% dei Mmg coinvolti (per il 48% dei medici donna e per il 32% dei medici uomini) la quota delle donne lavoratrici con impegni assistenziali importanti, supera il 4% delle proprie assistite.

“Formare i medici di famiglia al contatto con i caregiver al femminile diventa sempre più significativo visto l’aumento dell’età media e delle patologie croniche – sottolinea il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti – la presenza sempre più numerosa di figure intermedie come badanti, familiari e donne lavoratrici che si prendono carico dei pazienti più fragili e la necessità di stabilire con loro un rapporto di fiducia è un fatto ormai consolidato nella pratica quotidiana del medico di famiglia. Migliorare le relazioni con i caregiver, anche attraverso iniziative di formazione, rappresenta per noi medici di famiglia una grande occasione per non perdere gran parte del nostro potenziale assistenziale – prosegue Scotti – abbiamo il dovere di comprenderne il carico ed essere al loro fianco. Curare se stessi diventa infatti aver cura degli altri, evolvendo il detto normalmente riferito al solo medico ovvero ‘caregiver cura te stesso’”.

“Sempre più in difficoltà appare, complessivamente, la rete familiare che non sempre riesce

 

Da: Quotidiano Sanità

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