Mamma e figlia: «Noi modelle dopo il cancro. Nascondersi fa più male»

8 Nov 2017

Prima si è ammalata Chiara, quando aveva 14 anni, poi sua mamma Franca, infermiera caposala. Insieme hanno sfilato nella loro città, Bassano del Grappa con le donne dell’Associazione San Bassiano.

Prima è toccato a Chiara, quando aveva 14 anni. Poco dopo alla sua mamma: Franca aveva letto la diagnosi il giorno dell’ultima chemioterapia della figlia. Cancro, entrambe. Insieme hanno affrontato medici e ospedale, interventi e paure, lacrime e speranze. E insieme hanno sfilato nella piazza della loro città, Bassano del Grappa: un vero e proprio defilé dove le modelle sono state le pazienti, le donne guarite, le infermiere, le amministratrici, le volontarie e tutta la squadra dell’Associazione Oncologica San Bassiano, che lavora sul territorio per dimostrare che il male si combatte anche continuando a stare insieme, a progettare e a divertirsi.

Primi sintomi

Chiara e Franca sorridono e non hanno dubbi. Ecco la testimonianza di Chiara Tartaglia: «Era dicembre del 2012 quando ho cominciato a notare dei sanguinamenti, ma mai avrei pensato si trattasse di un male di una certa gravità. A gennaio vengo ricoverata nel reparto pediatrico dell’ospedale di Padova: nessuno aveva mai pronunciato davanti a me la parola “tumore”. Lo avevo capito da sola, guardando i miei vicini di letto tutti senza capelli». Dopo l’operazione al colon retto comincia la trafila della chemio, per sei mesi, e della radioterapia, per quaranta giorni. «In quel periodo – ricorda – sono dimagrita di venti chili». Studentessa al liceo scientifico della città, non ha mai smesso di dedicarsi ai libri e ha trovato negli insegnanti («Soprattutto la professoressa di matematica che mi ha dato ripetizioni gratuite perché recuperassi») un aiuto.

«Mi sono imposta di dominare il male»

«Pensavo che dopo chemio e radio – spiega – tutto fosse finito e invece sono arrivati i problemi di carattere ginecologico e alimentare. Adesso ho imparato a gestirmi e so che alcuni cibi non li posso mangiare e alcune cose non le posso fare». Chiara ha cominciato a frequentare la facoltà di Medicina a Trieste. «Quando ho superato il periodo della malattia – dice – non volevo più sentire parlare di ospedali. Ma in quegli anni ho incontrato anche qualche medico privo di sensibilità e di umanità e, a volte, anche poco preparati: così ho pensato di studiare medicina per dare il mio apporto positivo ai malati che incontrerò». Tocca a mamma Franca Pellanda, infermiera caposala all’ospedale di Bassano del Grappa. Ad aprile del 2013 una mammografia le dà notizia del tumore al seno. Viene operata in agosto, il giorno dell’ultima chemio di Chiara, appunto: «In quei momenti ho capito tutto quello che aveva passato la mia figliola e ho sentito il bisogno di starle ancora più vicina. Dal canto mio non ho affrontato il male come qualcosa di negativo: mi sono imposta di essere io a dominarlo e non viceversa. Proprio per questo ho continuato ad andare in bici e a camminare anche se, dopo le sedute chemioterapiche, non era facile farlo».

Il tatuaggio

La molla per non abbattersi? «È stata ed è la volontà di lottare, di sapere che molto dipende da me e che la malattia andava combattuta anche con la testa. Ho sempre cercato di sdrammatizzare la situazione e per questo non ho mai pensato, dopo la mastectomia, di rifarmi il seno perché me lo sarei sentito addosso come un falso. Ho invece coperto l’intervento con un ampio tatuaggio di rose e lo considero un trofeo di cui ci si debba vantare». Con il seno sinistro ricoperto soltanto da quel tatuaggio e mostrato con orgoglio, Franca ha gridato al mondo che nemmeno una mastectomia può sminuire la femminilità e la bellezza di una donna. «Accettare di sfilare – interviene Chiara – è stata la chiusura di un cerchio perché, al di là del male, ti riconosci bella per il tuo sorriso, per i tuoi occhi, per quello e per come sei». Non è stato facile per mamma e figlia partecipare all’evento, ma lo hanno fatto per metterci la faccia e, soprattutto, per dare un messaggio importante a tutte le donne che si trovino ad affrontare lo stesso percorso. «Nascondere il male – assicurano all’unisono – non serve a niente se non a farsi ancor più del male». La sfilata è stato un evento che, nel settembre scorso, ha coinvolto tutta Bassano del Grappa, cittadina veneta baciata dal fiume Brenta e coccolata dallo storico Monte Grappa, da un lato, e dal verde Altopiano di Asiago, dall’altro. Una sessantina di modelle: metà pazienti seguite dalla «San Bassiano» e l’altra metà composta da assessore regionali, da amministratrici pubbliche, da giornaliste, da dottoresse, infermiere, volontarie.

Una moda liberata

L’associazione, nata nel 2004 con l’obiettivo di pagare alcune psicologhe per affiancare le donne in questo percorso difficile, ha poi ampliato il proprio campo di azione e oggi propone tantissime attività: dallo yoga della risata all’atelier dell’arte, dalla tisaneria al nordic walking, ma anche (per le più temerarie) la barca a vela, il rafting e qualche giro a cavallo. Tutto completamente gratuito, così come l’assistenza della psicologa, delle fisioterapiste e della nutrizionista. L’idea della sfilata era venuta alla dottoressa Elena Pasquin, psicologa dell’associazione, e l’esperimento del gennaio scorso aveva avuto un successo tale da rendere obbligatorio il bis. A vestire le donne è stata ancora una volta la genialità di Silvia Bisconti, mente motrice dell’atelier bellunese «Raptus&Rose» che propone, con stoffe multicolori e turbanti ricchi di fiori e di frutta, una moda «liberata» dagli orpelli della consuetudine secondo cui le modelle devono essere tutte magrissime e alte. I suoi vestiti, infatti, esaltano le bellezza femminile di donne magre o con qualche chilo in più, alte o basse, mature o giovani. Tutte uguali e tutte diverse, tutte fiere di sé stesse e a proprio agio con i colori accesi e le fogge originali. E la malattia, su questo singolare red carpet, è battuta.

Da Corriere.it

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